Dopo Molfetta, parte anche a Barletta il Festival di teatro di prosa organizzato dalla compagnia “Il Carro dei Comici”, con la direzione artistica di Francesco Tammacco
Barletta – Piazza D’Armi del Castello
Mercoledì 2 settembre – «Callas d’incanto», con Debora Caprioglio
Giovedì 3 settembre – «L’avaro» (Molière) di e con Andrea Buscemi
Martedì 8 settembre – «Beate noi» con Mariella Parlato
Il grande teatro di prosa, con nomi di prestigio della scena italiana, titoli di pièce originali ma anche classiche, con la drammaturgia francese del diciassettesimo secolo. «Barletta in Prosa», il festival di teatro di prosa sostenuto dal Comune di Barletta, si inaugura con la direzione artistica curata da Francesco Tammacco e l’organizzazione della compagnia «Il Carro dei Comici». La Piazza d’armi del Castello di Barletta sarà l’ideale location per la messa in scena dei tre titoli previsti, con inizio alle 21.00: mercoledì 2 settembre «Callas d’incanto» con Debora Caprioglio, giovedì 3 settembre «L’avaro» di Molière (spettacolo di e con Andrea Buscemi), martedì 8 settembre «Beate noi», di e con Mariella Parlato. Prevendite nella cooperativa Sette Rue e al Book Shop del Castello, infotel 339.775.81.73 – 340.557.15.27, costo biglietto 10 euro a spettacolo. Saranno inoltre rispettate tutte le norme di protezione previste a causa dell’emergenza sanitaria.
“Callas d’incanto“ è un testo scritto e diretto da Roberto D’Alessandro, in cui Debora Caprioglio è l’interprete di Bruna, fedele governante di Maria Callas, al suo servizio dal 1953 al 1977. È stata l’ombra della grande soprano, e come una vestale ne custodisce la memoria, i ricordi, l’idea di una donna che ha rappresentato tutta la sua esistenza. Bruna rappresenta la semplicità, la quotidianità, quella contingenza davanti alla quale non è possibile valutare il genio, del quale tuttavia si avverte la statura, del quale si venera l’immensità di pensiero, la vastità delle imprese. Così ascoltiamo la storia che racconta, e ci troviamo al suo fianco a spiare quasi con vergogna i palpiti di quel cuore, la sua felicità, il tormento, tutta la tristezza del mondo. In questo racconto teatrale la Callas non è una voce in una donna, bensì una donna con una voce. Durante tutto lo spettacolo, Bruna attende il ritorno della sua Madame. L’aspetterà per sempre, perché si sente come la tessera di un puzzle che completa un mosaico.
Quanto a «L’Avaro», è uno spettacolo di Andrea Buscemi, con lo stesso attore toscano, insieme a Livia Castellana, Martina Benedetti, Francesco Tammacco, Pantaleo Annese, Gabriella Caputi. La pièce porta in scena uno dei capolavori del grande drammaturgo francese, tra le più celebrate e rivisitate, e anche tra le più imitate. Molière l’ha a sua volta costruita attingendo ad un numero insolitamente vasto di fonti, contaminando spunti teatrali diversi da commedie e racconti d’ogni epoca. Ricreando, in modo tuttavia originale, il suo irresistibile capolavoro. L’Avaro è del 1668 ed è in prosa. Il successo, graduale, continuo, arrivò a poco a poco nei secoli successivi. Molière, grande uomo di teatro prima ancora che letterato, vi ha messo dentro tutti gli ingredienti, gli intrecci, le scene farsesche, che rendono esilarante una pièce comica.
I motivi esilaranti del teatro classico in fondo sono sempre gli stessi: il difetto maniacale del protagonista (in questo caso l’avarizia), la servitù birbantesca ed intrigante, gli amori contrastati dei giovani, la rivalità in amore tra i protagonisti (qui il padre ed il figlio), i malintesi, l’agnizione finale che risolve come un deus ex machina l’intrigo generale. Il protagonista dell’Avaro di Buscemi però, è un personaggio che si distacca dagli altri, visti sin qui finora. La sua è una rilettura che nel substrato del significato, paragona Arpagone ad un contemporaneo finanziere capitalista, teso ad accumulare ricchezze per trasformare ogni cosa in profitto: anche gli amici, persino i figli. Una vera passione devastatrice che soffoca ogni sentimento e annulla la coscienza. Avaro e usuraio, così come Molière aveva voluto, Arpagone è un grande personaggio: ed interpretandolo, Buscemi sfida i suoi predecessori in scena, tratteggiandone la figura in chiaroscuro per ribadirne tanto la comicità quanto la tragicità.
«Beate noi», di e con Mariella Parlato, è un lavoro dedicato alle donne. Ma senza essere uno spettacolo per “sole“ donne; e neanche “solo” per l’otto marzo. La pièce è un monologo composto da altri monologhi. E Parlato non è in realtà sola sulla scena: saranno tante le donne rappresentate, in una pluralità di voci che restituiscono una grande umanità. Le attrici, le panettiere, le ammaliatrici, le cattive, le sante, le confidenti. Sono tanti i colori dell’arcobaleno femminile: rosa, giallo, rosso, verde, azzurro. «È uno spettacolo nato con la voglia di divertire e divertirsi – spiega l’attrice barlettana – ma strada facendo, alcune voci “toste” reclamavano di essere ascoltate: perciò ci sarà anche da riflettere e il sorriso potrebbe diventare dolce e amaro, allo stesso tempo. Sul palco vengono raccontate le donne che reagiscono con forza (e a volte con durezza) alla dittatura di una società che le vorrebbe sempre buone, dolci e remissive. Dipingendo un quadro realistico, ma anche surreale, in una descrizione che rasenta la spietata lucidità. Non è teatro al femminile. È teatro e basta».
Redazione