“UOMO E GALANTUOMO”, AL VERDI L’ALLIEVO DEL GRANDE EDUARDO
Geppy Gleijeses interpreta Gennaro De Sia, capocomico di una compagnia di guitti in un divertente gioco di specchi tra realtà e finzione
Geppy Gleijeses, allievo prediletto di Eduardo De Filippo, porta in scena “Uomo e Galantuomo”, tra le commedie più esilaranti del drammaturgo napoletano: un meccanismo comico straordinario che regala emozioni, equivoci e momenti di alto teatro. Appuntamento al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi mercoledì 31 gennaio con sipario alle ore 20.30. Biglietti disponibili online alla pagina di Vivaticket rebrand.ly/UomoGalantuomo e al botteghino del Verdi, aperto nel giorno dello spettacolo, ore 11-13 e 19-20.30. Info T. 0831 562 554 e botteghino@nuovoteatroverdi.com.
Un secolo di storia non ha scalfito la contemporaneità del testo, le battute pronte, la malinconica risata tipica del teatro che irrompe nelle nostre vite, rendendo le vicende quotidiane un’ispirazione costante per esorcizzare le miserie e le paure. Padrone della scena è Geppy Gleijeses, attore e regista di lungo corso: “Miglior attore europeo” secondo l’Accademia Europea Medicea nel 2018. Accanto a lui altri due grandi interpreti, Lorenzo Gleijeses ed Ernesto Mahieux, per un cast di altissimo livello, che comprende anche Patrizia Spinosi, Ciro Capano, Gino Curcione, Roberta Lucca, Gregorio Maria De Paola, Irene Grasso, Salvatore Felaco e Demi Licata. Armando Pugliese, tra i più grandi registi italiani, ha diretto più volte le opere di Eduardo, specie successi storici che hanno visto protagonista Luca De Filippo.
«Io scrivo per tutti, ricchi, poveri, operai, professionisti… tutti, tutti! Belli, brutti, cattivi, buoni, egoisti. Quando il sipario si apre sul primo atto d’una mia commedia, ogni spettatore deve potervi trovare una cosa che gli interessa». Eduardo De Filippo si descriveva così parlando del suo lavoro. La commedia giovanile del grande maestro del teatro italiano (1922), spesso qualificata come farsa, è un’opera per la quale questa definizione appare alquanto riduttiva. Sebbene ricca di battute ed episodi comici irresistibili, la commedia rivela profonde contraddizioni tra le apparenze e la realtà della borghesia contrapposta alle quotidiane lotte del proletariato. Eduardo cesella sulla scena il confronto tra false virtù e tragedia, onore da salvare e fame. Tra echi di Pirandello e accenni dell’Eduardo più maturo, “Uomo e Galantuomo” è un testo che ebbe una sua particolare evoluzione: scritta nel 1922 con il titolo “Ho fatto un guaio? Riparerò!” e dedicata al fratellastro Vincenzo Scarpetta, quest’opera fu concepita come atto unico, per poi svilupparsi in tre atti e, in quest’ultima forma, conquistare il palcoscenico solo undici anni dopo, nel 1933. La ricetta della commedia degli equivoci, quella in cui Eduardo era maestro insuperato, si rivela infallibile in questa storia di “teatro nel teatro”: una scalcagnata compagnia di guitti senza speranze deve mettere in scena “Malanova”, testo del napoletano Libero Bovio, ma i margini di riuscita sembrano minimi. La mancanza di talento e l’improvvisazione degli attori contrappongono i drammi borghesi. Sulla scena della vita, i benestanti si rivelano più attori dei veri commedianti, impegnati solo nella sopravvivenza quotidiana. Si ride, ma con la passione che Eduardo ha reso emblema della sua arte. Perché le risate non possono che essere amare. Proprio come la vita di quel proletariato che si inventa e reinventa pur di guadagnarsi il pane, disposto a tutto, anche a mettersi (infelicemente) in gioco. Loro sono “scavalcamontagne”, tanto per citare la cruda riflessione del capocomico. Infine, la grandezza di Napoli e della sua lingua: un luogo difficile da raccontare se non contenuto, ma che nello spettacolo diventa un incontro artistico con la sua ironia, a volte eccessiva ma sempre densa di umanità e poesia.
È durante le prove, guidate dal “pomposo” capocomico Gennaro, che la commedia raggiunge il suo apice di risate e humour farsesco. E mentre i responsi del pubblico sono spietati, irrompe sulla scena il fratello della prima attrice, determinato a imporre nozze riparatrici tra costei e il capocomico che l’ha messa incinta. Così, la pazzia diventa la cura migliore per risolvere il conflitto. Pazzia che può andare oltre e aprire nuove strade che penetrano nell’anima dei personaggi: «Di fatto, non esiste pazzia senza giustificazione e ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini», scriveva Alda Merini. La verità non è mai così netta e comprensibile, in una girandola di scambi di ruoli e responsabilità, e dunque di volti, che evoca il mondo di Pirandello.
La regia di Pugliese ricostruisce fedelmente il mondo di “Uomo e Galantuomo” restituendo nella sua pienezza tutto questo caleidoscopio di emozioni, risate e spunti di riflessioni. La messinscena è attenta e comunicativa tanto da avvicinarsi a quella macchina perfetta, scandita dai precisi tempi comici, a cui aveva dato vita Eduardo De Filippo. Senza banalità e stravolgimenti. La commedia racconta la società di ieri e di oggi, in cui l’umanità, per sopravvivere, ha bisogno di espedienti, che sia l’arte o la pazzia, poco importa. Un mondo in cui i ruoli si contrappongono al punto che la vita diventa arte, l’arte mette in scena la pazzia e soltanto i “pazzi” possono continuare a vivere nel segno del teatro.
Redazione