Commento di S.E. Mons. Satriano sulla sparatoria avvenuta a Molfetta

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AL DI LÀ DEL SILENZIO, PER DARE VOCE AD ANTONELLA LOPEZ

 

A più di tre giorni dall’omicidio di Antonella Lopez, dopo aver riflettuto, ritengo di non dover tacere di fronte alla vita di una ragazza ridotta per sempre al silenzio.

In una notte di fine estate una discoteca è diventata scenario drammatico in cui terrore e dolore hanno sopraffatto il divertimento e lo svago.

Noi, non possiamo restare indifferenti.

Abbiamo perso una figlia di questa terra. E in questa storia, ogni ulteriore silenzio lascia il sapore di una impotenza omertosa.

Non cadiamo nel subdolo tranello di rovistare nell’albero genealogico della vittima alla ricerca di parentele che possano significare responsabilità: quella ragazza è stata uccisa senza alcun motivo, è una vittima innocente.

Antonella non è stata l’unico bersaglio di quella notte assurda. Altri quattro sono stati feriti ma nessuno di loro ha voluto parlare. Sono stati omertosi nonostante avessero perso un’amica.

Lasciano attoniti le parole del presunto assassino secondo cui è normale avere una pistola, portarla con sé quando si è in giro con gli amici o quando si va in un locale per ballare. Ed è ancora più sconcertante sentirgli dire che è normale farsi giustizia da soli. Prevale il fai-da-te sulle più elementari norme del buon senso e del vivere comune. Sembra avere la meglio il relativismo che ha minato le basi di un sistema di valori essenziali condivisi.

Questo dramma rimarca la grande facilità con la quale oggi si possono reperire armi da fuoco e la loro circolazione incontrollata, soprattutto nel mondo giovanile.

Questo omicidio ci coinvolge e non può essere vissuto come un déjà-vu, consegnandoci a logiche di rassegnazione. Ci indigna e suscita pentimento per atteggiamenti che spesso si annidano nella nostra vita privata e che hanno il sapore della delega, della illegalità diffusa, della ricerca di un benessere ad ogni costo.

Le famiglie criminali nel nostro territorio sono vive e si riorganizzano, ridefinendo gli spazi della loro azione, alimentate da un sottobosco di connivenze che affondano le radici nel nostro tessuto sociale.

Non possiamo chiudere gli occhi e delegare solo alle forze dell’ordine, alla magistratura, un impegno che argini il dilagare della loro azione. Anche noi, come singoli e comunità civile, ecclesiale, siamo chiamati a operare scelte di vita che sappiano esprimere, con autorevolezza, il no alla compiacenza, a forme di compromesso, e a ribadire un forte impegno educativo delle istituzioni, di tutti, che possa nutrire le nuove generazioni in ordine a una cultura più comunitaria, meno individualista e autoreferenziale.

Da dove ripartire, allora? Possiamo trovare un senso, una direzione, in questa storia di fronte alla quale, da soli, ci sentiamo impotenti e perduti?

Voglio appellarmi alla mia coscienza e a quella di tutte le donne e gli uomini che sentono bruciare il dolore per quanto è accaduto e che non vogliono dimenticare.

Voglio appellarmi alle Istituzioni educative, perché in un Paese che invecchia non possiamo accettare di perdere i nostri giovani, i nostri figli.

Voglio appellarmi alle Istituzioni preposte alla vita sociale e politica, perché i nuovi fenomeni anche positivi che muovono il denaro e l’economia nella loro rapidità di sviluppo non offrano occasioni straordinarie per le organizzazioni criminali ai fini del riciclaggio di denaro sporco.

Se Antonella, ormai, non può più parlare, noi invece che abbiamo ancora una coscienza sensibile, abbiamo il dovere di non rimanere più in silenzio.

REDAZIONE

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