È pressoché assodato oggi che il videogioco abbia un rapporto privilegiato con la cultura. Se storicamente si è guardato al medium videoludico come un intrattenimento senza alcuna pretesa, il videogioco si è ormai preso la sua rivincita. L’ha fatto tra l’altro in grande stile: i videogiochi sono al centro di tornei competitivi, trovano spazio nelle scuole e da essi vengono tratti fenomeni di successo come la recente serie tv The Last of Us.
È nel legame con la cultura, comunque, che si sono svolti alcuni passi avanti davvero sorprendenti: l’intero fenomeno, suggestivamente etichettato gamification culturale, porta il videogioco a contatto con i più disparati contesti. Si possono citare il mobile game A Life in Music, incentrato su Giuseppe Verdi, o Firenze Game, basato su carte collezionabili raccolte in vari punti di interesse del capoluogo toscano. Un fenomeno recente, certamente; ma del quale, a ben vedere, si trovano tracce in tutta la storia del videogioco. I legami fra videogaming e cultura, intesa nel suo senso più ampio possibile, sono numerosi e solo di recente appaiono in maniera esplicita: più spesso, nel corso degli anni, i legami sono apparsi in maniera molto più sottile.
È facile fare l’esempio di Tetris: uno dei più amati giochi di tutti i tempi, icona degli anni ’80 e ancora oggi amatissimo. Eppure la sua storia nasconde un importante legame culturale, proprio nel suo sviluppo. Questo infatti ha avuto luogo nell’Unione Sovietica di metà anni ’80, ad opera di un informatico impiegato presso l’Accademia delle Scienze dell’URSS: Aleksej Leonidovič Pažitnov. La sua ispirazione sono stati i tetramini, una particolare forma geometrica lo studio della quale era in voga in quegli anni: si tratta delle sette possibili forme creabili affiancando quattro quadrati – o cubi – di eguali dimensioni lungo uno dei lati di ognuno. Da questi studi Pažitnov venne ispirato finendo per creare Tetris, rendendo videoludici i tetramini e utilizzandoli per creare linee continue che, scomparendo, lasciassero il posto ad altre.
Si può anche fare l’esempio del blackjack, ovviamente inteso nella sua versione online. Potrebbe sembrare quantomeno curioso menzionare un intrattenimento all’apparenza così particolare: si tratta dopotutto di uno dei più diffusi passatempi prettamente ludici ospitati in siti dedicati, e non è stato certo sviluppato ad hoc. È conoscendo la sua storia, però, che emergono i suoi collegamenti culturali: approcciarsi al blackjack equivale a confrontarsi con un passatempo che ha attraversato la storia di Europa e America. L’esistenza di giochi con analoghe regole, a dal nome che si riferisce al punteggio di 21, sono attestati nella Spagna del seicento, come emerge dagli scritti di Miguel de Cervantes, e nella Francia dell’ottocento, dove sono citati in opuscoli e articoli. La sua versione attuale, a partire dal nome, è invece nata negli Stati Uniti: è stato qui che, al seguito dell’immigrazione europea, il gioco è cresciuto prendendo il nome di blackjack, conseguenza dell’usanza ormai abbandonata di dichiarare vincente la mano composta da un asso e da un fante nero, appunto un black jack.
Va poi ricordato il celebre Solitario di Windows, fuga dai momenti di noia per generazioni di utilizzatori di PC. In questo caso il legame con la cultura è principalmente in un legame con l’apprendimento, che si nota solo tenendo presente gli anni nei quali nacque. Era il 1989 e uno stagista di Microsoft, Wes Cherry, si dedicò nei tempi morti al suo sviluppo: l’utilità che vi vedeva era legata all’apprendimento dell’utilizzo del mouse. I sistemi operativi diffusi all’epoca, infatti, non utilizzavano mouse in quanto sprovvisti di interfaccia utente: è stata l’introduzione di quest’ultima, e la necessità di navigarvi, a rendere necessario un puntatore. Un passaggio che avveniva proprio in quegli anni: l’inclusione di Solitario su Windows 3.0, uscito nel 1990, è quindi legata non solo a un passatempo videoludico, ma anche all’occasione di aiutare con un semplice passatempo a prendere familiarità con l’utilizzo del mouse, allora una novità.
Infine merita menzione la genesi di Pokémon, ricchissimo franchise diffuso in tutto il mondo che, alle sue origini, è un videogioco del 1996. Era la seconda metà degli anni ’90 infatti quando uscì in Giappone la prima coppia di titoli, Pokémon Rosso e Pokémon Verde, introducendo un mondo popolato da 151 mostri che il giocatore era chiamato a catturare per completare un’enciclopedia. Un legame culturale che si comprende conoscendo l’idea che ispirò il gioco: la raccolta di insetti. Tra i giovani giapponesi era infatti comune avere come hobby il raccogliere e collezionare insetti, e fu a questa sua passiona di infanzia che il creatore dei Pokémon, Satoshi Tajiri, si ispirò: da un semplice hobby, dunque, si è passati al più ricco franchise di sempre, evidenziando ancora una volta i legami mai mancati tra videogaming e cultura.
Redazione