Mentre la scienza balbetta di fronte ad un virus sconosciuto, su cui avanza solo ipotesi non sempre attendibili, l’anno scolastico procede con la didattica a distanza.
Al momento, non esiste nessun decreto che faccia chiarezza riguardo al quadro complessivo del corrente anno scolastico, le uniche alternative concerneranno l’esame di stato, ma anche in relazione a questo c’è ancora tanto da chiarire.
La didattica a distanza è servita comunque, se mai ce ne fosse stato bisogno, a evidenziare la situazione di iniquità classista che domina nella nostra società. Il divario digitale ha lumeggiato e rimarcato gli svantaggi sociali che la scuola riesce spesso a camuffare, solo facendo ricorso ad un demagogico e paternalistico buonismo. Nella fattispecie, la situazione ha anche messo in luce come l’Italia abbia appaltato un settore chiave come l’istruzione ai colossi del capitalismo digitale, senza garanzie, critiche e possibilità di sviluppare luoghi virtuali aperti e alternativi, e senza tutelare, realmente, i dati di milioni di studenti.
Scegliere di usare una piattaforma piuttosto che un’altra condiziona, inoltre, il metodo didattico e l’interazione, collaborativa o gerarchica, tra le persone, nel quadro di un’ottica in atto da anni nella scuola, che tende a trasformarla in un luogo preposto a premiare solo l’addestramento al mondo del lavoro.
Nei provvedimenti del governo non si ravvisano significative inversioni di tendenza, rispetto agli investimenti nei settori pubblici; in particolare, per quel che riguarda la Scuola, neanche l’occasione del contrasto al contagio induce a destinare investimenti adeguati alla riduzione del numero degli alunni per classe, a detrimento della qualità didattica, ma anche della salute di bambini e ragazzi.
Si ravvisa la soluzione in possibili turnazioni, in una combinazione di didattica a distanza e in presenza, senza affrontare, come sempre, i problemi strutturali, legati all’assunzione di personale docente e ATA, e al varo di un adeguato piano di edilizia scolastica.
Senza la contestuale riapertura di scuole, asili e nidi per l’infanzia non si possono avviare le attività produttive. Questo espone al contagio sia i più piccoli, per i quali il distanziamento sociale non ha alcun senso, che le famiglie, generando un processo di aumento esponenziale dei contagi.
Incurante di ciò, la classe padronale e capitalistica ha comandato migliaia di operai e lavoratori al proprio posto di produzione, assicurando loro un paio di mascherine in più, qualche controllo in entrata e in uscita dalle fabbriche con il termometro istantaneo, e nulla più.
Basterà il velo dell’ipocrisia di un pezzo di tela?
Gennaro Annoscia