Sette ordini di carcerazione emessi dalla Procura generale della Corte d’Appello di Bari (ufficio Esecuzioni Penali), a seguito delle sentenze definitive di condanna, sono stati eseguiti dai carabinieri a Bari, Lecce e Sulmona a carico dei presunti mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio di Fabiano Andolfi e di un tentato omicidio nell’ambito di una guerra tra due clan baresi che si verificò nel 2018, oltre che per rapine e porto illecito di armi.
I destinatari dei provvedimenti, accusati a vario titolo e in concorso di omicidio, tentato omicidio, distruzione, soppressione e occultamento di cadavere porto e detenzione di armi (tutti aggravati dal metodo mafioso), sono Vincenzo Anemolo, di 59 anni, Francesco Cascella di 38 anni, Giuseppe Caputo di 54 anni, Filippo Cucumazzo di 50 anni, Giovanni De Benedictis di 42 anni, Donato Maurizio Di Cosmo di 49 anni e Roberto Mele di 29 anni.
Dovranno scontare pene comprese tra i 17 e i 20 anni di reclusione.
Le condanne sono state emesse dopo le inchieste e i processi relativi alla guerra fra clan baresi registrata nel 2018. Il 14 gennaio fu ucciso Fabiano Andolfi, affiliato al clan Anemolo e successivamente passato nel gruppo dei Capriati. Per l’omicidio, in manette sono finiti Anemolo e Cascella, in qualità di mandanti, e Cucumazzo, Di Cosmo, De Benedictis e Domenico Giannini (non destinatario di sentenza definitiva) in qualità di presunti esecutori materiali.
Qualche mese dopo, il 7 giugno, ci fu il tentato omicidio di Filippo Cucumazzo. Delitti inseriti nei contrasti tra i clan Palermiti-Anemolo egemoni nel quartiere Carrassi, e i Capriati che tentavano di guadagnare terreno nello stesso rione. Per questo, Anemolo avrebbe anche ordinato l’omicidio di Cucumazzo che, scampato all’agguato, si voleva vendicare.
Nel corso delle indagini, sono stati arrestati Caputo e De Benedictis, ritenuti autori del tentato omicidio di Cucumazzo e trovati in possesso di una pistola, di un giubbotto antiproiettile, di guanti in lattice e di passamontagna, e lo stesso Cucumazzo per possesso di una pistola illegalmente detenuta.
In carcere è poi finito anche Roberto Mele, fratellastro di Andolfi, che, per vendetta avrebbe compiuto una rapina a mano armata ( ansa).
Redazione