KASIA SMUTNIAK, DOMENICO PROCACCI E MARELLA BOMBINI OSPITI IN SALA, PER PRESENTARE «MUR», ESORDIO ALLA REGIA DELL’ATTRICE POLACCA

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KASIA SMUTNIAK, DOMENICO PROCACCI E MARELLA BOMBINI OSPITI IN SALA, PER PRESENTARE «MUR», ESORDIO ALLA REGIA DELL’ATTRICE POLACCA.

Il Doc è incentrato sul muro d’acciaio lungo 186 km che percorre il confine tra Polonia e Bielorussia, costruito per vietare l’ingresso ai migranti ucraini.

Lunedì 30 ottobre, ore 21

Multicinema Galleria – Bari

 

 

Lunedì 30 ottobrealle 21, al Multicinema Galleria di Bari, si terrà una proiezione straordinaria di «Mur», film d’esordio alla regia di Kasia Smutniak, scritto dalla stessa attrice polacca e dalla sceneggiatrice Marella Bombini. Le stesse Smutniak e Bombini, insieme al produttore Domenico Procacciinterverranno in sala, per un saluto iniziale e per un dibattito finale col pubblico, per discutere dei temi scottanti del documentario. Biglietti disponibili in cassa e on line, su multicinemagalleria.it (infotel: 080.521.45.63)

«Mur» è incentrato sul muro d’acciaio che per per 186 chilometri percorre il confine tra Polonia e Bielorussia. Una barriera costruita per respingere i migranti che tentano di entrare nell’Unione Europea in cerca di rifugio. Smutniak, insieme a degli attivisti locali, si sposta dalla casa di sua nonna fino alla zona proibita per riprendere e vedere coi suoi occhi quell’orrore d’acciaio di cui non esistevano foto.

Il film è una produzione Fandango, in associazione con Luce Cinecittà, e nasce da un’esigenza emotiva che ha spinto Kasia a dirigere il suo primo documentario (presentato in anteprima in selezione ufficiale al Toronto International Film Festival e alla Festa del Cinema di Roma).

È il marzo 2022: da pochi giorni la Russia ha invaso l’Ucraina e l’intera Europa si è mobilitata per dare asilo ai rifugiati. La Polonia si è distinta per tempestività e generosità, me è lo stesso Paese che ha appena iniziato la costruzione del muro più costoso d’Europa per impedire l’entrata di altri rifugiati. Una striscia di terra che corre lungo tutto il confine bielorusso, chiamata zona rossa, impedisce a chiunque di avvicinarsi e vedere la costruzione del Muro, il protagonista della storia raccontata in questo film.

Kasia Smutniak esordisce alla regia con un lavoro che è allo stesso tempo un diario intimo e una denuncia. Il percorso, un incerto e rischioso viaggio nella zona rossa dove l’accesso non è consentito ai media, inizia davanti a un muro e davanti a un altro muro finisce. Grazie all’aiuto di attivisti locali e con una leggerissima attrezzatura tecnica, la regista raggiunge il confine e filma ciò che non si vuole raccontare. Il primo muro respinge i migranti che arrivano da terre lontane, attraversando il bosco più antico d’Europa, una frontiera impenetrabile in un mare di alberi. «Puszcza Białowieża», così si chiama quel bosco, che, proprio come il mare, è un elemento nuovo per le migliaia di persone che tentano il viaggio.

Il secondo, quello di fronte alla finestra di casa dei nonni a Łódź, dove la regista giocava da bambina, è il muro del cimitero ebraico del ghetto di Litzmannstadt. Cercando di riconciliarsi con il proprio passato, Kasia torna a casa con una forte consapevolezza: l’accoglienza non deve fare distinzioni, chiunque sia in pericolo va soccorso, un continente che si definisca democratico non innalza muri.

IL CONTESTO POLITICO

Dal 2021 il confine tra Polonia e Bielorussia è teatro di una delicata crisi umanitaria e diplomatica. Una crisi che ha radici di natura prettamente politica, sintomo dei tesi rapporti che sono sempre intercorsi tra Polonia e Russia, inaspriti in particolare dalla lunga crisi ucraina, iniziata con la rivoluzione di piazza Maidan del 2014. In Bielorussia è da anni al potere il dittatore Lukashenko, fedelissimo alleato di Vladimir Putin, in Polonia invece dal 2019 la maggioranza di governo è costituita da una coalizione di destra, capeggiato dal partito xenofobo e fortemente atlantista PiS. La crisi verte sui numerosi migranti da Africa e Siria che affrontano la rotta balcanica per entrare in Europa, passando dunque per la Turchia, i paesi dell’ex-Jugoslavia, tentando poi di entrare in Ungheria, Cechia, Slovacchia e Polonia. La Bielorussia ha cominciato ad esortare i migranti a giungere nel loro paese, addirittura con visti e voli pagati, per poi sistematicamente espellerli verso i confini dei paesi EU tra cui la Polonia.

Quella di Lukashenko, accusato di aver creato una nuova rotta migratoria, è un’azione di rappresaglia nei confronti dell’Europa per le nuove sanzioni comminategli dopo le ennesime elezioni in Bielorussia caratterizzate da irregolarità e violenze nei confronti degli oppositori. La coalizione di governo polacca, già naturalmente ostile agli extracomunitari ha deciso dunque di sfruttare i timori dei propri elettori per il proprio tornaconto politico. Il risultato è stato un altrettanto sistematico respingimento dei migranti provenienti dalla Bielorussia. Questo è avvenuto più specificamente in una zona del confine sita nella foresta millenaria di Puszcza Białowieża.

All’inizio del 2022, il governo di Mateusz Morawiecki ha altresì deciso di rafforzare ancora di più la linea di confine con la costruzione di un muro, conclusasi nell’estate del 2022. L’azione polacca, nel frattempo, è stata molto criticata dall’opposizione a sinistra sia interna che europea, da diverse organizzazioni e associazioni umanitarie e dalla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. Di fatto i militari obbligavano i migranti a dover rimanere settimane bloccati in una striscia di terra larga poche centinaia di metri immersa nella foresta, noncuranti delle condizioni avverse sia del terreno che del clima, con il freddo invernale che sopraggiungeva. Le notizie di queste vicende sono diventate anche più difficili da ottenere, dato che il governo polacco ha poi istituito una zona rossa attorno al confine per evitare l’avvicinamento di volontari, organizzazioni umanitarie, giornalisti e persino europarlamentari.

Le testimonianze ma soprattutto l’importantissimo lavoro di soccorso e sostegno ai migranti bloccati nella foresta, sono così passate in mano a singoli o gruppi di volontari, che si sono organizzati, rischiando in prima persona, per impedire che la crisi umanitaria assumesse le proporzioni di quella già in atto, nella più nota rotta migratoria del Mediterraneo.

redazione

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