“La Ianara” in scena con Elisabetta Aloia alla Vallisa di Bari

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È ispirato all’omonimo romanzo di Licia Giaquinto, edito da Adelphi, lo spettacolo «La Ianara» diretto e interpretato da Elisabetta Aloia, in scena giovedì 30 novembre (ore 21) all’auditorium Vallisa di Bari per la rassegna «Le direzioni del racconto» della Compagnia Diaghilev, che produce l’allestimento (info 333.1260425).

 

La protagonista, Adelina, è una donna che nega per l’intera esistenza la sua natura di strega e per buona parte anche quella di donna, perché «diventare donna significa sangue». È, infatti, figlia e nipote di ianare, come vengono chiamate nel Sud Italia le streghe, e sulle quali Alisabetta Aloia, partendo dal romanzo di Licia Giaquinto, ha condotto uno studio minuzioso di testimonianze provenienti dall’Irpinia, dalla Basilicata, dalla Puglia e dalla Sicilia.

Il destino di questa donna è segnato. Adelina vorrebbe vivere la sua infanzia come le altre bambine, invece le tocca essere scacciata come un’appestata. E tutto questo le fa rabbia. Lei non è come le altre donne, deve «imparare cose molto più importanti», ereditare il sapere delle erbe, delle viscere, delle voci nascoste, delle cose che non ci sono più. Così, un giorno decide di fuggire via da tutto. Lascia la sua vecchia vita per iniziarne una nuova presso il Palazzo di un Conte. Qui può essere libera, vivere senza il marchio di dannata. Ma l’illusione dura poco. È, infatti, costretta a confrontarsi, senza volerlo, con il suo essere donna, il suo sentire nuove passioni e sensazioni, rabbia, dolore, amore, possessione: sentimenti che spingono Adelina a ricercare in sé la sua vera natura. E il ritorno all’essenza.

Elisabetta Aloia, che dà voce e corpo a questa donna sospesa nel passaggio tra la vita e la morte, tra ciò che era e ciò che sarà, si muove in scena «come un cane randagio», in uno spazio circoscritto, in cui mescola il racconto a rituali e scongiuri salmodiati. Parla una lingua non definita, una sorta di dialetto creato da una mescolanza di idiomi del Meridione, con un salto nel passato che rievoca l’istante di un ricordo lontano, attraverso la parola e il gesto. È una sorta di respiro sospeso, tra lo ieri e il domani, un respiro che tocca corde dell’intimità dell’essere umano di sconcertante attualità e verità. Il lavoro mira, dunque, al recupero della tradizione orale, della narrazione di storie di altri tempi in cui superstizione e credenze popolari prendono forma, e in cui i personaggi si annodano in una formula ancestrale e perfetta di continuità sociale. Perché nelle nostre terre, le ianare, le mavare, le masciare, sono presenti ancora oggi.

redazione

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