La “Saeta” nel canto della Settimana Santa

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…fanno missione per camminare in via crucis con corde, corone di spine e passo, e hanno cantato saete…

La settimana “Semana” Santa in Spagna è considerata la più importante festività della penisola iberica. Sono giorni pieni di entusiasmo tra antiche tradizioni, culture e folklore con il sentimento religioso della cattolica Spagna.

E’ un momento di grande fervore popolare, con la partecipazione attiva di tante persone, che ben organizzate, per le strade mettono in scena la sacra rappresentazione della Passione di Cristo “Passio Christi” con autentiche macchine sceniche, vere e proprie opere d’arte, composte da: antiche statue lignee, oggetti d’oreficeria, argenti riccamente cesellati, e preziosi tessuti ricamati con fili d’oro, il tutto sotto l’attenta regia di veterani organizzatori che riproducono suggestivi momenti di autentico folklore e di fede.

Andando per i paesi dell’Andalusia è possibile assistere a processioni e riti sia di giorno che di notte, accompagnati dalle numerose e antiche confraternite “cofradias”, e dai tanti penitenti, “nazarenos”, vestiti con variopinte tuniche, tutti rigorosamente incappucciati “capirote” con la torcia accesa nella mano, e a piedi nudi. In alcuni casi indossano anche il “cilicio” o portano pesanti croci con la catena legata alla caviglia.

Oltre ai tanti fedeli e ai numerosi turisti provenienti da tutto il mondo, per le strade ci sono le immancabili bande musicali cittadine, accompagnate dal rullo incessante dei tamburi. Tutto questo, insieme all’assordante vociare, d’un tratto, come un fulmine viene interrotto da un penetrante quanto struggente canto, dedicato alla passione del Cristo e alla figura della Madonna, “la Saeta”.

La saeta (dal latino sagitta,”freccia”) è un canto religioso tradizionale, in particolare dell’Andalusia e di alcune zone delle regioni di Estremadura, Castilla-La Mancha e Murcia. E’ una preghiera cantata nello stile del flamenco, quest’ultima musica popolare, che grazie ad importanti compositori, negl’anni, è diventata la musica del mondo accademico. Mentre la Saeta, vere e proprie laudi sacre, è rimasta una canzone popolare. Il suo testo è composto da 4 o 5 versi ottonari, e ha sempre un significato religioso che allude ai fatti e ai personaggi della Passione di Cristo.

Sebbene l’origine musicale delle primitive saete sia incerta, viene attribuita una radice araba legata alle chiamate della preghiera degli “almuédanos” il muezzino delle moschee andaluse, che invitava alla preghiere i fedeli musulmani, o dai canti ebraici (canti sefarditi), o dai canti processionali cristiani dei missionari francescani del XVII e XVIII sec.

La Saeta ha un carattere liturgico-cristiano, in quanto, come già detto, sono canti processionali “coplillas” “avvertimenti” che i frati francescani, i domenicani e i cappuccini, hanno cantato nelle loro missioni, in modo che la gente avesse una buona confessione, per “l’anima del penitente”.  Fra’ Diego da Valencia, difese la tesi secondo cui le radici della saeta era nei canti in occasione dei rosari recitati all’aurora, nelle novene delle anime e in altri atti religiosi. I Canti ben presto si diffusero in tutta l’Andalusia, e in questi atti religiosi, era frequente che i fedeli manifestassero pubblicamente il loro pentimento per i peccati commessi, da qui il nome dei penitenti.

Tuttavia gli antichi canti delle Saete, erano cantate da quei religiosi, che in qualche modo volevano istruire la società rurale dell’Andalusia, per lo più analfabeta. Il testo della canzone era molto semplice, quasi parlata. Ad oggi in alcune città dell’Andalusia ci sono “Saetas” che hanno influenza sul canto gregoriano.

I testi sono quasi sempre anonimi, ma con la tradizione e con il passare degli anni sono diventati famosi. Ci sono poeti spagnoli che si sono dedicati alla composizione dei testi. Normalmente il canto va senza accompagnamento, a voce nuda “a cappella”.

Il canto del  “flamenco saeta” presenta due varianti principali: la saeta per “seguidillas, che è la più diffusa, e l’altra è quella della “saeta carcelera”  ‘fulmine del carceriere’, un personaggio un po’ più allegro.  (I confratelli delle varie confraternite spagnole tra le loro numerose missioni usavano fare visita ai detenuti e cantare la saeta),

Come già accennato, la Saeta “la freccia”, è cantata verso le immagini  che sfilano durante la processione nei riti della Settimana Santa, e spesso è cantata da un balcone basso. Quando la voce inizia al canto, il caposquadra del ‘passo’, ordina al gruppo dei portatori di fermarsi e la saeta canta “lancia la freccia”. Il ‘saetero/a”, può essere assunto da qualcuno dalla confraternita titolare dell’immagine o essere un devoto spontaneo dell’immagine, desideroso di mostrare la sua devozione, o la sua arte di “saetero”.

“Nel 1671 i padri Gesuiti, padre Tirso González e padre Juan Gabriel Guillén durante la Settimana Santa si portarono nella cittadina Arahal (Andalucia) per celebrare gli “oficios” e durante  “l’atto di contrizione” (preghiere che si recitano per manifestare pentimento per i peccati commessi) che si tenevano di notte nelle strade, i due raccontarono:

“… mentre si percorrono le strade, vengono cantate alcune frasi, sia per modificare la vita, sia per aborrire il peccato, perché sono efficaci nel muovere i peccatori al pentimento dei loro peccati, sono chiamati jaculatorias o saetas devotas , che penetrano nel cuore, e questi sono spesso detti dalle persone che parlano con fervore…” “…I reverendi Padri del Convento di Nostro Padre San Francisco, di Siviglia, tutti i mesi dell’anno fanno la missione, abbassando la comunità per camminare la via crucis con corde e corone di spine e passo dopo passo, cantava Saetas in questo modo:

chi perdona il suo nemico / Dio vince per amico

con disgusto e orrore finisce / tutto ciò che il mondo loda

come pensi di salvare, / chi non vuole confessare?

Anche nella nostra Puglia come in tutto il meridione d’Italia, durante la settimana santa, diventa teatro di suggestivi riti ancestrali di cordoglio e di fede collettiva. Tutto questo patrimonio è necessario salvaguardare e tutelare in quella classe di beni demoetnoantropologici, del nostro immenso patrimonio culturale da tramandare ai posteri.

 

Stefano de Carolis

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