Michele Riondino celebra a Taranto De André e Don Gallo in “Angelicamente Anarchici”

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«I lontani, gli esclusi, i reietti del pianeta. L’immaginario di De André era questo. E come potevo io, prete di strada, non esserne coinvolto?». Così scrive Don Andrea Gallo nel suo quinto Vangelo, quello secondo Fabrizio De Andrè, che Michele Riondino racconta con una straordinaria prova d’attore nello spettacolo da lui diretto e interpretato, «Angelicamente Anarchici», nel quale dà voce al sacerdote di marciapiede e al suo amico poeta e cantautore per la drammaturgia di Marco Andreoli. Il popolare artista tarantino, reduce dal successo televisivo su Rai Uno come protagonista della fiction «La mossa del cavallo», ispirata ad un lavoro letterario di Andrea Camilleri, presenta «Angelicamente anarchici» nella sua città, al Teatro Orfeo di Tarant, venerdì 9 marzo (ore 21) nell’ambito della 74aStagione degli Amici della Musica «Arcangelo Speranza», (biglietti 28/22/18 euro, info 099.730.39.72).

 

 

Riondino è in scena da solo, in quest’intenso monologo, anche se in realtà è circondato da altre presenze: prima fra tutte la sua ombra, che si muove in modo autonomo su uno schermo bianco. Il gioco di luci è colorato e articolato sui contrasti. E l’effetto ombra rende i pensieri indipendenti dal corpo: pensieri «anarchici», per l’appunto, con una loro precisa identità, sottolineata dalle musiche di De André eseguite dal vivo da Francesco Forni (autore degli arrangiamenti), Ilaria Graziano e Remigio Furlanut, celati da uno schermo che li rivela al pubblico al termine dello spettacolo, una coproduzione Centro d’arte contemporanea Teatro Carcano e Promo Music.

Dunque, nei panni di Don Andrea Gallo, cappello e sigaro in bocca, morto e in attesa in un limbo, Riondino trasporta il «Vangelo laico» ispirato alla musica di De André in una messa in scena cucita intorno alle canzoni di Faber, del quale si è tanto parlato recentemente dopo il successo del biopic «Il principe libero».

Il repertorio spazia da «Creuza de ma» a «Un giudice», da «La ballata dell’amore cieco» a «Dormono sulla collina», da «Il testamento di Tito» a «Don Raffaè» sino a «Quello che non ho», attraverso le quali lo spettacolo – portavoce del pensiero-contro di De André e Gallo e delle loro rispettive visioni libertarie del Sacro – restituisce il testamento morale e sociale del sacerdote di strada e del cantautore degli ultimi, entrambi genovesi, legati da un’amicizia intima e fortissima basata sul desiderio di giustizia, la cultura ribelle e soprattutto la concezione della vita come cammino e incontro, prescindendo da qualsiasi pregiudizio.

Per comporre il suo  «Vangelo laico» don Andrea Gallo scelse alcune delle più belle canzoni di Faber, nelle quali aveva rintracciato il nucleo del messaggio evangelico, penetrante e universale: c’è la coscienza civile, la comprensione umana, la guerra all’ipocrisia e il desiderio di riscatto della condizione umana emarginata, perché «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior», come cantava De André in «Via del campo», la canzone omaggio ad una delle strade più povere e degradate di Genova, coacervo abitato dai deboli e dagli indifesi. Insomma, dagli esclusi della società, verso i quali i due «angelicamente anarchici» avevano concentrato la loro umana attenzione.

redazione

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