Nel penitenziario di Lecce una start up per la produzione di arredi carcerari
Ultimata la prima fase del progetto M.I.L.I.A. finalizzato alla nascita di una start up per la produzione di arredi in legno. Gli operatori Arpal hanno preso in carico 127 detenuti.
Formarsi e lavorare all’interno del carcere anche per riscrivere il proprio futuro fuori dal penitenziario. Nella casa circondariale di Lecce sta prendendo forma il progetto M.I.L.I.A. – Modelli sperimentali di intervento per il lavoro e l’inclusione attiva delle persone in esecuzione penale – con la nascita di una vera e propria start up carceraria per la produzione di manufatti in legno che andranno a soddisfare, attraverso il lavoro degli stessi detenuti, l’intero fabbisogno nazionale di arredi carcerari.
“L’obiettivo del progetto – spiega l’assessore alla Formazione e Lavoro della Regione Puglia – è il recupero e il rafforzamento delle competenze delle persone detenute, ma anche l’acquisizione di professionalità richieste dal mercato del lavoro: è noto che il tasso di recidiva è di gran lunga inferiore tra chi, durante il periodo di esecuzione della pena, ha svolto attività formative e lavorative finalizzate al reinserimento nel tessuto produttivo. Incentivare la dimensione lavorativa diventa, così, non soltanto un elemento di rieducazione, ma anche un’alternativa per coltivare il riscatto sociale ed evitare che, successivamente, si ricorra al crimine come mezzo di sussistenza”.
Il progetto è finanziato tramite il Pon Inclusione, per un valore complessivo di 750mila euro, e mette in rete gli istituti penitenziari di Lecce e Sulmona. Per la sua realizzazione, è stata sottoscritta apposita convenzione di sovvenzione tra la Direzione Generale per la Coesione del Ministero della Giustizia e la Regione Puglia.
Nei giorni scorsi, è stata completata la prima fase del progetto: un gruppo di operatori del Centro per l’Impiego di Lecce e dell’Ufficio coordinamento Servizi per l’Impiego dell’Ambito di Lecce di Arpal Puglia ha proceduto alla presa in carico globale di 127 detenuti attraverso colloqui individuali finalizzati a mettere in luce le pregresse esperienze, i profili psico-sociali e il potenziale di ciascuno di loro. Un’attività cruciale, che è alla base della successiva erogazione di specifica formazione nel settore della falegnameria. Il fine è chiaro: ridurre la vulnerabilità dei soggetti che escono dal circuito carcerario e garantire continuità lavorativa al momento del ritorno in libertà. Dai colloqui con le persone prese in carico, molte delle quali residenti in provincia di Lecce, sono emersi bisogni di formazione soprattutto tra i più giovani, non di rado approdati nella struttura di Borgo San Nicola direttamente dagli istituti penali minorili. L’attività effettuata dal personale Arpal, inoltre, ha permesso di rilevare un patrimonio di competenze specifiche e titoli già posseduti dai detenuti più adulti, un “saper fare” che – se messo a frutto – è importante punto di partenza per il loro futuro.
La sperimentazione di questi percorsi di inserimento lavorativo intramurario trova ispirazione nell’esperienza spagnola di C.I.R.E. (Centre d’Iniciatives para la Reinserciò). Il Ministero della Giustizia ha deciso di puntare sui settori delle produzioni agricole e delle falegnamerie, proprio per consentire ai detenuti di acquisire competenze “spendibili” al termine del periodo di detenzione. La novità è nel modello d’intervento, sistemico e innovativo, mai attuato prima in Italia: i percorsi integrati coinvolgono gli operatori territoriali dei servizi al lavoro, dei servizi di inclusione e dei servizi formativi, implementando il rapporto tra i servizi di natura sociale e quelli di politica attiva del lavoro.
Redazione