The Heartless: tra mutazioni e trasformazioni, la maschera di Mimmo Mongelli e Nicola Eboli colpisce nel segno  

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The Heartless: tra mutazioni e trasformazioni, la maschera di Mimmo Mongelli e Nicola Eboli colpisce nel segno.

 

Quattro repliche sold out al Nuovo Teatro Duse e lunghi applausi per i protagonisti.

 

 

Lorenzo Lorusso

Cosa accadrebbe se all’improvviso ci risvegliassimo senza il cuore, organo vitale per eccellenza, sia fisico che morale? Oppure, proviamo a porre la domanda da un punto di vista rovesciato: siamo certi che la presenza del cuore sia garanzia di un livello minimo di umanità? Sono le domande sarcastiche e atroci, al tempo stesso, scaturite dalla prima, folgorante messa in scena di «The Heartless», spettacolo prodotto da Babele Produzioni Teatrali, scritto e diretto da Mimmo Mongelli. L’attore pugliese Nicola Eboli ha portato sul palco del Nuovo Teatro Duse di Bari – in quattro repliche sold out – la storia di un uomo che vive un fenomeno unico al mondo: l’essersi risvegliato senza il cuore, da un giorno all’altro.

 

I riferimenti letterari sono molteplici, ma uno su tutti balza all’occhio: ne «La metamorfosi» di Franz Kafka (di cui nel 2024 ricorrono i 100 anni dalla scomparsa) era il protagonista Gregor Samsa a risvegliarsi nel suo letto, trasformato all’improvviso in uno scarafaggio umanoide. Ebbene, se a rendere memorabile quel racconto dello scrittore boemo non era stato tanto lo shock della trasformazione in scarafaggio, ma il lento processo con cui egli (e la sorella Grete) imparavano a convivere con la mostruosità, lo stesso senso di assuefazione all’orrore delle cose capita al’Heartless di Mongelli.

 

Che diventa mellifluo (e solo in apparenza «inconsistente») come una medusa, capace di attivare un sistema di protezione vitale quando è sotto attacco, salvo poi riprodursi all’infinito. La metafora, che indaga gli istinti più bassi del genere umano, è perfettamente calzante: anche l’uomo non perde occasione di adattarsi a qualsiasi «habitat» antropologico o sociologico. Anzi, sfrutta a suo piacimento le nuove condizioni nel bene e nel male, in una circostanza evolutiva che dai primordi va avanti senza sosta. Ma in realtà, spesso e volentieri, si può spesso parlare di involuzione, più che di evoluzione: specie se si riesce a sopravvivere senza un cuore, l’organo decisivo e montante di ogni organismo.

 

Il teatro riesce anche stavolta a colpire nel segno: Eboli è completamente fasciato in una «mise» che ne rende tutta la mostruosità e l’irriconoscibilità. Con un sinistro senso di tenerezza e malinconia, al tempo stesso, in quel raccontarsi muovendo braccia e corpo proprio come una medusa. Tutto ciò accade senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine, in una performance grottesca e surreale, che però riesce a catturare un’attenzione ipnotica. D’altra parte, senza il baricentro del cuore, capace di «saldare» corpo e anima, il movimento perde quasi il suo senso di gravità, non riuscendo quasi più a controllare nulla.

 

Ma anzi, molto simboliche diventano persino le ripetute «sedute» di Eboli sul grande oggetto di scena confezionato da Rossella Ramunni (che ha curato anche il costume del protagonista), una sorta di divano-pouf leggero e accogliente. Il colpo di genio scenografico rimanda tali creazioni al capolavoro cinematografico di David Lynch «The Elephant man» (1980) e alle idee scultoree della pittrice, poetessa e scrittrice statunitense Dorothea Tanning.

 

Anche queste creazioni sembrano più di un emblema: l’inevitabile stanchezza fisica si coniuga con la necessità di rilassarsi e lasciarsi andare. O peggio, di non preoccuparsi più di nulla. Tanto il cuore, se non c’è, nessuno te lo può dare.

Lorenzo Lorusso

 

 

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