TONI SERVILLO e il regista FABIO GRASSADONIA presentano in sala «Iddu – L’ultimo padrino (Multicinema Galleria – Bari)

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Giovedì 17 ottobre, ore 21
 
Multicinema Galleria – Bari
IDDU – L’ULTIMO PADRINO
 
TONI SERVILLO E IL REGISTA FABIO GRASSADONIA INTERVENGONO IN SALA, PRIMA DELLA PROIEZIONE, PER PRESENTARE «IDDU – L’ULTIMO PADRINO», IL FILM ISPIRATO ALLA LUNGA LATITANZA DEL BOSS MAFIOSO MATTEO MESSINA DENARO.

 

Giovedì 17 ottobre, alla proiezione delle 21, l’attore Toni Servillo e il regista Fabio Grassadonia interverranno in sala al Multicinema Galleria di Bari per salutare il pubblico e presentare il film «Iddu – L’ultimo padrino», proiettato in concorso all’81° Mostra del Cinema di Venezia, e distribuito nelle sale da 01 Distribution dal 10 ottobre. Il film racconta la storia del mondo che volteggia spericolatamente intorno al boss mafioso Matteo Messina Denaro, e protegge il mistero tragico e farsesco della sua prolungata latitanza. Nel cast del film, diretto da Grassadonia con Antonio Piazza, anche Elio Germano, Daniela Marra e Barbora Bobuľová.

 

Biglietti acquistabili in cassa e on line (costo 7 euro), su multicinemagalleria.18tickets.it (infotel: 080.521.45.63).

 

 

Dopo alcuni anni in prigione per mafia, Catello, politico di lungo corso, ha perso tutto. Quando i Servizi Segreti italiani gli chiedono aiuto per catturare il suo figlioccio Matteo, ultimo grande latitante di mafia in circolazione, Catello coglie l’occasione per rimettersi in gioco. Uomo furbo dalle cento maschere, instancabile illusionista che trasforma verità in menzogna e menzogna in verità, Catello dà vita a un unico quanto improbabile scambio epistolare con il latitante, del cui vuoto emotivo cerca d’approfittare. Un azzardo che con uno dei criminali più ricercati al mondo comporta un certo rischio.

 

Nel 2004, anno nel quale è ambientato «Iddu», il capomafia Matteo Messina Denaro è per la rivista americana Forbes il terzo latitante più ricercato al mondo. Il suo curriculum criminale annovera decine di morti e stragi come quelle che hanno sconvolto l’Italia nel 1992 e nel 1993. «Con le persone che ho ucciso – si vantava prima della latitanza – potrei riempirci un mio cimitero privato». Poi ha evitato inutili esibizioni. Ponderazione, mimetismo, complicità pervasive all’interno del suo territorio, la Sicilia occidentale, i pilastri della sua trentennale invisibilità. Nell’autunno del 2004 ha inizio il carteggio tra lui e un ex sindaco del suo paese d’origine, incaricato dai servizi segreti italiani di dar vita a una corrispondenza epistolare con il capomafia latitante, sfruttando l’antica consuetudine familiare fra l’ex sindaco e il padre di Matteo, il boss mafioso Francesco Messina Denaro.

Grazie allo scambio epistolare tra il latitante e l’ex sindaco, gli investigatori individuano la rete di postini che proteggono e favoriscono la latitanza del boss. Sembra che la sua cattura sia a portata di mano ma nel 2006 la corrispondenza s’interrompe perché, come spesso succede in Sicilia, un servitore infedele dello Stato coinvolto nelle indagini su Matteo, svela alla stampa la collaborazione dell’ex sindaco con i servizi segreti e Matteo s’inabissa facendo nuovamente perdere le proprie tracce, fino al gennaio 2023 quando è arrestato in una clinica palermitana dove da due anni era in cura per un tumore all’intestino. Muore otto mesi dopo l’arresto a causa del tumore. Porta con sé nella tomba molti segreti, fra i più torbidi della storia recente d’Italia.

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