Può sembrare anacronistico tornare a parlare di futuro dell’Istruzione degli Adulti (IdA) quando, a più di un anno dall’avvio su tutto il territorio nazionale dei Percorsi di secondo livello (ex corsi serali), esso appare già deciso.
Eppure, ancora un interrogativo si impone alla nostra riflessione: “questo” futuro migliorerà o peggiorerà la condizione attuale dell’Ida in Italia?
Non avendo la pretesa, né tantomeno il potere profetico, di riuscire a dire ciò che sarà e come esso ridisegnerà l’assetto odierno, è la natura stessa della domanda che mi ingiunge a pensare in una certa maniera piuttosto che altrimenti, e dunque a credere che se si verificasse la prima ipotesi, non tutto parrebbe perduto e avremmo ancora spazio per avviare mirate azioni correttive al sistema in grado di migliorarlo significativamente, e che se, invece, si realizzasse la seconda ipotesi, il declino già iniziato diverrebbe irreversibile.
È nitido nella mia mente e in quella di tutti coloro che lavorano nel settore dell’Istruzione degli adulti il ricordo di quegli attimi di sgomento vissuti dai corsi serali all’indomani dell’approvazione del D.P.R. n. 263 del 29/10/2012 (operante a partire dal 25-2-2013) “Regolamento recante norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzativo didattico dei Centri d’istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, a norma dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133” e del D.I. 12 marzo 2015 pubblicato nella G.U. l’8 giugno 2015 che adottava le “Linee Guida per Il passaggio al nuovo ordinamento (Art.11, Comma 10, D.P.R. 263/2012)”, perché, nonostante e al di là degli enunciati rassicuranti contenuti in queste ultime, mancavano direttive idonee a supportare effettivamente gli stessi corsi serali nell’attuazione del riordino.
Questa lacuna è stata poi colmata ma, a dire il vero, solo in parte e quando ormai il riordino era già in fase di avanzata attuazione. A sostegno di ciò, cito, a titolo d’esempio, la C. M. n.3 del 17 marzo 2016, avente per oggetto: “D.P.R. 263/12 – Percorsi di istruzione degli adulti di secondo livello: Valutazione periodica e finale, valutazione intermedia, ammissione agli esami di stato e validità dell’anno scolastico – Disposizioni a carattere transitorio per l’a.s. 2015-2016. La scelta del MIUR di indicare come transitorio il carattere di queste disposizioni non ha fatto altro che lasciar trasparire la possibile astrattezza e, quindi, inefficacia delle disposizioni medesime, nonché il suo modo insicuro di procedere, le sue incertezze.
Proprio a queste incertezze, infatti, dobbiamo ricorrere quando intendiamo pensare l’origine delle difficoltà in cui versano tuttora i corsi serali -ma anche i CPIA, Centri Provinciali di Istruzione degli Adulti-, e, non a caso, è raro trovarne almeno due che siano gestiti secondo le stesse procedure.
Cercherò di spiegare perché l’implementazione del riordino procede così farraginosamente.
Innanzitutto, c’è da rilevare che, da parte del MIUR, in controtendenza con la sua normale prassi, c’è stata un’incredibile superficialità nel volere a tutti i costi avviare il riordino senza provare prima una sperimentazione. Questa è stata, credo, la prima grave leggerezza che ha poi condizionato le fasi di attuazione del riordino stesso.
Tutte le problematiche di cui parlerò e che tuttora dominano nell’operare quotidiano dei Percorsi di secondo livello sono conseguenze di quella inottemperanza.
La prima insormontabile difficoltà è scaturita da un organico docente sin troppo scarnificato rispetto alle reali necessità. Difatti, il MIUR non potendo prevedere con esattezza l’organico che sarebbe servito ai corsi serali per organizzare i gruppi di livello e i periodi didattici, si limitò a dare agli UT solo mere indicazioni di massima su come fare a gestire ogni “eventuale” carenza (v. la Circolare n. 34 del 1 aprile 2014 “Dotazioni organiche del personale docente per l’anno scolastico 2014/2015 – Trasmissione schema di Decreto Interministeriale.” o la Nota prot. n. 6753 del 27 febbraio 2015 – “Dotazioni organiche del personale docente per l’anno scolastico 2015/2016 in http://www.orizzontescuola.it/istruzione-adulti-cosa-manca-ai-corsi-serali/). Invece, com’era prevedibile, gli UT omisero tali indicazioni con la conseguenza che molti docenti divennero soprannumerari -perché il riordino prevedeva quadri orari del 70% di quelli diurni- e, perciò, furono trasferiti d’ufficio, in palese contrasto con quanto disposto dalla normativa di cui sopra. Altri insegnanti, invece, per sfiducia nelle reali intenzioni del MIUR, che a parole dichiarava di voler rilanciare l’IdA ma nei fatti (complice il MEF) la indeboliva, si trasferivano nei più stabili corsi diurni, paventando per loro un destino simile a quello di altri colleghi soprannumerari.
La seconda difficoltà è stata la mancanza di spazi e di attrezzature idonee a gestire adeguatamente i gruppi di livello. Questa difficoltà si può direttamente imputare alla mancanza di fondi mirati a supportare i corsi serali nell’attuazione di tali importanti innovazioni, fondi che, invece, non sono stati fatti mancare ai CPIA. La preferenza del MIUR a finanziare solo i CPIA risponde ad una logica ben precisa, che proverò a chiarire nel proseguo (in realtà, se devo considerare il seguente ma recente avviso del MIUR come principio di un’inversione di tendenza http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/e8d02f29-c58f-45fc-8a32-2b4b344b0468/prot2165_17.zip , devo anche ammettere che questa preferenza stia finalmente cambiando).
La terza difficoltà riguarda l’insegnamento a distanza che non è stato possibile avviare poiché mancavano le aule Agorà. Così, gli studenti lavoratori non hanno potuto usufruire di un altro importante elemento che sarebbe valso a tutelare maggiormente il loro diritto all’istruzione.
Scelgo di terminare qui l’elenco delle problematiche, onde evitare il rischio di annoiare chi legge, ma tengo anche a precisare che esso potrebbe continuare ancora a lungo.
Ad ogni modo, dopo tutte queste negatività, mi convinsi del fatto che solo un miracolo avrebbe potuto materializzare l’auspicato boom di iscrizioni che il MIUR prevedeva e che, invece, non c’è stato (mi sorse anche il dubbio che probabilmente fosse proprio quest’ultimo l’effetto desiderato). Ciò ha dimostrato che il MIUR ha fatto male i suoi calcoli quando credeva che per rilanciare l’IDA servissero i CPIA e non corsi serali in concreto rinnovati e potenziati per supportare meglio e di più tutti quei lavoratori intenti a rientrare in formazione. L’adulto rientrante in formazione, infatti, non cerca -e non cercava nemmeno prima della riforma- una via facile al diploma, ma una scuola in grado di aiutarlo ad aggiornare il suo sapere mediante una didattica di qualità e all’avanguardia, quindi una scuola molto distante da quella prospettata dal riordino, valso solo ad “aggiornare”, da un lato, i quadri orari delle lezioni da 28 h/sett. (ex progetto Sirio) a 22 h/sett. (decisione che ha penalizzato guarda caso le materie professionalizzanti) e, dall’altro, il numero degli anni di studio, passati, per mezzo dell’introduzione dei periodi didattici al posto degli anni scolastici, da cinque a tre (se tutto va bene), lasciando molto spazio all’improvvisazione e, soprattutto, a un riordino senza oneri per l’amministrazione. Ma come si fa a pretendere la qualità senza oneri di spesa? Tutto è, del resto, in linea con il solito miracolismo all’italiana.
Dopo questa rassegna, per nulla piacevole, che ha come protagonisti errori, irresponsabili sbadataggini e negligenze del MIUR, torno a sollevare la domanda di apertura di questo mio articolo, perché, in fondo, rispondervi è proprio ciò che proverò a fare adesso, attraverso il ragionamento seguente.
Attualmente i corsi serali sono, volendo semplificare, sotto il “fuoco incrociato” di due “fronti”: da un lato, il MIUR che, più o meno consapevolmente, per mano degli USR, non autorizza sia l’attivazione del primo periodo didattico -che, difatti, è pressoché sparito dai corsi serali-, sia l’assegnazione degli organici correlati ai gruppi di livello avviabili; dall’altro, i CPIA che, per risolvere i propri problemi derivanti in gran parte dall’utenza costituita soprattutto da adulti immigrati non aventi di certo come priorità il conseguimento del diploma di scuola secondaria di 2° grado, propongono di poter attivare loro stessi percorsi di secondo livello. Questa proposta, in realtà, non è tanto stramba perché è stata proprio lanciata dal responsabile nazionale dell’IDA, dott. Sebastian Amelio, dirigente MIUR, in occasione del seminario tenutosi a Bari il 30 aprile 2016 dal titolo “Certificazione dei crediti e patto formativo nel nuovo sistema degli adulti”. Rivolgendosi agli increduli convenuti (io ero tra quelli), Amelio affermò che i CPIA se avessero voluto continuare a sopravvivere avrebbero dovuto porsi l’obiettivo di “diplomare” gli adulti, ben sapendo che tale competenza spetta ai corsi serali e non ai CPIA medesimi. La frase mi sorprese alquanto perché faceva presagire, come approfondirò più avanti, un possibile cambiamento di rotta del MIUR sul futuro assetto dell’IdA, in controtendenza con la situazione attuale che vede i corsi serali incardinati negli istituti d’origine.
La conferma che l’idea del dott. Amelio non fosse estemporanea (gettata lì, agli astanti, per suscitarne lo stupore in ragione dell’audacia insita nella proposta), bensì un obiettivo pianificato, concreto e qualificante (si fa per dire…) della politica dei CPIA, la si è avuta in occasione del successivo convegno nazionale (a cui ha anche partecipato il Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del MIUR, Rosa De Pasquale), organizzato dall’associazione Proteo Fare Sapere e tenutosi sempre a Bari il 20 ottobre 2016 dal titolo “Proposte per la valorizzazione dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti”. In tale seminario, infatti, il presidente della RIDAP (acronimo della rete nazionale dei CPIA) fa propria l’idea del dott. Amelio e la rilancia (http://www.proteofaresapere.it/news/notizie/cpiamateriali).
Che l’incertezza sulla futura permanenza, o meglio sopravvivenza, dei corsi serali sia più di una mera previsione lo si può, d’altronde, anche intuire leggendo la prima versione, poi in parte modificata, dell’art. 1 comma 20 della LEGGE 13 luglio 2015, n. 107 “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”:
Per sostenere e favorire, nel più ampio contesto dell’apprendimento permanente definito dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, la messa a regime di nuovi assetti organizzativi e didattici, in modo da innalzare i livelli di istruzione degli adulti e potenziare le competenze chiave per l’apprendimento permanente, promuovere l’occupabilità e la coesione sociale, contribuire a contrastare il fenomeno dei giovani non occupati e non in istruzione e formazione (NEET), favorire la conoscenza della lingua italiana da parte degli stranieri adulti e sostenere i percorsi di istruzione negli istituti di prevenzione e pena, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, modifica il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2012, n. 263, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Come suddetto, in seguito tale comma fu parzialmente modificato (nello specifico, le righe evidenziate in grassetto) con il seguente comma 23 art. 1 della stessa legge:
Per sostenere e favorire, nel più ampio contesto dell’apprendimento permanente definito dalla Legge 28 giugno 2012, n. 92, la messa a regime di nuovi assetti organizzativi e didattici, in modo da innalzare i livelli di istruzione degli adulti e potenziare le competenze chiave per l’apprendimento permanente, promuovere l’occupabilità e la coesione sociale, contribuire a contrastare il fenomeno dei giovani non occupati e non in istruzione e formazione, favorire la conoscenza della lingua italiana da parte degli stranieri adulti e sostenere i percorsi di istruzione negli istituti di prevenzione e pena, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca effettua, con la collaborazione dell’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE), senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, un monitoraggio annuale dei percorsi e delle attività di ampliamento dell’offerta formativa dei centri di istruzione per gli adulti e più in generale sull’applicazione del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2012, n. 263. Decorso un triennio dal completo avvio del nuovo sistema di istruzione degli adulti e sulla base degli esiti del monitoraggio, possono essere apportate modifiche al predetto regolamento, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
Molti si chiederanno cosa ci fosse scritto di così allarmante nella prima versione del comma (la n. 20). Ebbene, qui di seguito elenco i campanelli d’allarme lì contenuti: 1) si paventava la modifica del Regolamento, senza aver prima raccolto e valutato i risultati oggettivi ottenuti dalle autosperimentazioni (come io ritengo debbono chiamarsi tutti i vari tentativi fatti dai corsi serali di attuare il riordino, perché non pianificati dal MIUR) in atto nei corsi serali e nei CPIA; 2) in linea con quanto aveva dichiarato a suo tempo il dott. Sebastian Amelio, una delle modifiche più probabili sarebbe stata proprio l’abolizione dell’incardinamento dei corsi serali presso le scuole di 2° grado al fine di accorparli ai CPIA (attualmente i Percorsi di 2° livello dipendono amministrativamente dagli istituti di 2° grado e ciò comporta per questi ultimi alcuni vantaggi sia finanziari –il FIS riconosce agli istituti sedi di corsi serali un finanziamento aggiuntivo che tiene conto della complessità dell’istituzione scolastica-, che organizzativi, poiché i loro iscritti concorrono al raggiungimento del numero di alunni necessario al mantenimento dell’autonomia scolastica).
Dunque, quante altre epifanie di proposte simili dobbiamo ancora sopportare perché appaia finalmente necessario agli Istituti serali attivarsi e formare una rete nazionale unita nell’intento di contrastare l’obiettivo dei CPIA?
Ora, l’ultima stesura del comma (la n. 23) ha rimediato allo scandalo della prima, senza però sciogliere il dubbio di fondo: se, indipendentemente dai risultati, positivi o negativi, emergenti dal triennio di monitoraggio in applicazione del Regolamento –soprattutto riguardo ai corsi serali– di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2012, n. 263, il destino dei corsi serali medesimi sia sempre uno e, più precisamente, quello tracciato poc’anzi, vale a dire l’eliminazione del loro incardinamento.
Non è un caso che la soluzione di incardinare i corsi serali negli istituti d’origine sia stata sin dall’inizio osteggiata dai CPIA, ma non è altrettanto casuale che i corsi serali abbiano mantenuto alta la qualità della propria offerta formativa, come da tradizione. Dunque, questi elevati standard qualitativi si spiegano proprio in virtù dell’indipendenza di cui godono i corsi serali, significando ciò per loro garanzia di specificità, di autonomia decisionale e prassica, in una sola parola d’identità.
A guardar bene il comma 23 della legge 107 appare, quindi, una sfida lanciata ai corsi serali e non ai CPIA, poiché questi ultimi, in qualità di istituzione autonoma, non hanno nulla da temere dall’eventuale revisione del Regolamento. Hanno, invece, tutto da temere i corsi serali che, in questa partita, se non riuscissero a tradurre in azioni concrete gli obiettivi indicati nel riordino, rischierebbero la devoluzione.
Con l’intento di raccogliere tale sfida e nella convinzione di essere parte di un settore scolastico vitale e cruciale della scuola italiana, il corso serale cui appartengo ha elaborato e sperimentato un modello organizzativo avendo come unico obiettivo la verifica sul campo del nuovo assetto, per valutarne i punti di forza e di debolezza. L’autosperimentazione è stata realizzata grazie all’impegno assiduo dei docenti (senza oneri per l’amministrazione) che, superando ampiamente il limite degli impegni scolastici canonici, vi si sono dedicati caparbiamente riuscendo ad inserire tutti gli elementi caratterizzanti il riordino, col risultato di massimizzare la flessibilità dei percorsi e di abbandonare pressoché quasi completamente la vecchia impostazione, pur garantendo la qualità dell’offerta formativa.
Più precisamente, il nuovo modello è stato implementato considerando:
– non più gli anni scolastici ma i periodi didattici
– non più le classi ma i gruppi di livello
– una formazione basata non più sulle discipline ma sulle competenze
– non più i quadri orari generalisti ma piani di studio individuali
Dal confronto con i colleghi di altri corsi serali è emerso, tuttavia, che altrove il vecchio assetto organizzativo continua a sopravvivere con poche variazioni sul tema, nonostante il riordino ne richieda, come mostrato, necessariamente di vistose. Per alcuni corsi serali riorganizzarsi ha significato semplicemente chiamare “gruppi di livello” ciò che prima chiamavano classi, facendo corrispondere la classe prima al primo gruppo di livello, la classe seconda al secondo gruppo di livello e così via fino alla quinta classe corrispondente al quinto gruppo di livello. Altri corsi serali hanno istituito due gruppi di livello in ogni periodo didattico tranne nel terzo, facendo in tal modo corrispondere la ex prima e seconda classe del primo biennio al primo e secondo gruppo di livello del primo periodo didattico, la ex terza e quarta classe del secondo biennio al primo e secondo gruppo di livello del secondo periodo didattico, ma lasciando invariata la denominazione per la quinta classe. Altri corsi serali hanno, invece, lasciato immodificata la dicitura tradizionale delle classi per poi trovarsi in conflitto con le ultime circolari ministeriali che vietano di bocciare, come prassi vuole, uno studente con profitto insufficiente in alcune materie vanificando ciò il diritto di frequentare senza penalizzazioni il periodo didattico in due anni anziché, come di norma, in uno.
Questo excursus mi è valso a dare una più concreta misura della strada che i corsi serali ancora hanno da percorrere prima di ritenere ultimato il loro sforzo di giungere a un assetto fondato su criteri comuni a livello nazionale.
In tutto questo, può consolare il fatto che a tale scopo non sono servite nemmeno le due convention denominate PA.I.DE.I.A. (Piano di Attività per l’Innovazione DEll ‘Istruzione degli Adulti), nonostante gli sforzi profusi dai CPIA per dimostrare il contrario -per intenderci, pare che nessuno di loro abbia mai organizzato gruppi di livello-.
In conclusione, credo che, in ragione dell’interrogativo iniziale e del futuro sicuramente problematico che si prospetta (e questa ormai non è più una novità) sull’istruzione degli Adulti, nonostante tutto, corsi serali e CPIA debbano continuare a collaborare, ma abbandonando ogni competitività, intralciando quest’ultima la realizzazione delle rispettive finalità che sono e devono continuare a restare distinte.
È, dunque, con tale convinzione che consegno all’attenzione dei lettori il report qui allegato intitolato “RAPPORTO SULLA SPERIMENTAZIONE DEI GRUPPI DI LIVELLO” (scritto congiuntamente al collega prof. Nazzareno Corigliano) riguardante la sperimentazione condotta nel mio istituto e i risultati da essa conseguiti, sperando che, con pari spirito collaborativo, essi vogliano inserirsi nel vivo di un dibattito attorno a quelle pratiche che, già efficaci, evolvendosi mediante un continuo lavoro di scambio reciproco di riflessioni ed esperienze, siano sempre più capaci di produrre un effettivo miglioramento dell’IdA, e dunque la valorizzazione dei corsi serali stessi.
Domenico Piperis, docente presso il Corso serale dell’IISS “G. Marconi – M. Hack” di Bari (articolo pubblicato su Orizzonti Scuola).
di Antonio Carbonara